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La Nobiltà in Sardegna

Le origini della nobiltà sarda sono diverse rispetto a quelle degli altri stati italiani pre-unitari, dove esistono patriziati e nobiltà civiche.

In Sardegna, infatti, i titoli nobiliari sono concessi direttamente dal sovrano per riconoscenza del merito personale o degli antenati.
I sovrani catalano-aragonesi non usano molti titoli nobiliari. Sono concessi i titoli di signore o barone, visconte e più raramente conte.
Con la presa di possesso del Regno di Sardegna, il primo titolo comitale concesso è quello di conte di Quirra a Berengario II Carroz, prezioso aiuto nella spedizione di conquista. La nobiltà feudale nasce proprio con la conquista catalano-aragonese e l’infeudazione alle famiglie alleate del sovrano.
Nell’età spagnola i titoli sono concessi soprattutto come riconoscimento di meriti militari. In epoca sabauda sono valutati anche i meriti in campo agricolo, economico e scientifico.
Uno dei più antichi privilegi è il diploma di Generosità, un riconoscimento concesso nei secoli iniziali del Regno di Sardegna che premia la «generosità di sangue» dell’investito per il particolare legame militare con il sovrano. È concesso a diverse famiglie del settentrione dell’Isola che si impegnano attivamente nella conquista dei territori da sottrarre alle potenti famiglie genovesi. Si trasferisce su tutta la famiglia e sui discendenti, comprendendo i diritti, le esenzioni, le franchigie e la concessione dello stemma.

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Dal XVI secolo sono concessi soprattutto i privilegi di cavalierato e di nobiltà.
Il titolo di Cavaliere può essere concesso ad personam, e si estingue con la morte dell’individuo creato cavaliere, oppure, come avviene nella maggior parte delle concessioni, può essere ereditario. In questo secondo caso, il titolo di Cavaliere si trasferisce ai tutti i figli maschi dell’investito.
La Nobiltà Sarda è, in ordine di tempo, l’ultimo dei privilegi introdotti in Sardegna. Si accompagna solitamente al titolo di Cavaliere Ereditario, concedendo il diritto ai figli del primo investito, maschi e femmine, di essere qualificati con l’appellativo di Nobile Don e Nobile Donna.
I principali privilegi derivanti dal titolo di Nobile sono l’esenzione dalla giustizia feudale, civile e criminale, essendo giudicati dalla magistratura regia, la partecipazione allo stamento militare, la possibilità di girare armati e l’esenzione dai diritti feudali con l’eccezione del solo donativo.
Nel Parte Montis si sviluppa soprattutto questo tipo di nobiltà. Attraverso incarichi pubblici ed ecclesiastici, e accurate strategie matrimoniali, alcune famiglie accumulano discreti patrimoni fondiari. La gestione di grandi aziende agricole viene condotta con criteri moderni, utilizzando come forza lavoro i braccianti e le massaie dei villaggi.
Nel 1806 il sovrano sabaudo Vittorio Emanuele I pubblica «l’Editto degli ulivi», che promette la concessione del titolo nobiliare a coloro che piantano o innestano almeno quattromila ulivi, fermo restando i requisiti necessari per l’acquisizione della nobiltà. I beneficiari di queste concessioni sono solo poche famiglie.
Carlo Felice, nel 1823, emana un altro editto con cui concede il titolo nobiliare personale ad alcune categorie di docenti universitari e a coloro che istituiscono borse di studio per l’accesso ai due collegi di educazione di Cagliari e di Sassari.
Con l’unità d’Italia e la soppressione dei diversi ordinamenti feudali, la materia nobiliare è affidata alla Consulta Araldica, creata nel 1869.
La Costituzione repubblicana non riconosce i titoli nobiliari, che restano come predicato del nome, e sopprime la Consulta Araldica, della quale ci resta un prezioso archivio.

Famiglia cony

Don Nicola Cony è originario del piccolo villaggio di Atzeni, in Marmilla. Trasferitosi a Masullas, ricopre la carica di luogotenente e giudice ordinario del Parte Montis. Egli è anche familiare del Sant’Uffizio, e sfrutta questo status di privilegio…

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…per ottenere, il 30 giugno del 1692, il diploma di cavalierato e nobiltà.

Il tribunale dell’Inquisizione viene esteso anche alla Sardegna, con sede prima a Cagliari e poi a Sassari. A capo dell’Inquisizione viene nominato un alto prelato, solitamente un vescovo. È questo il caso dei vescovi di Ales-Terralba, Giovanni e Andrea Sanna.
Per estendere il controllo territoriale viene introdotta la figura del Familiare del Sant’Uffizio. La carica è concessa a personaggi laici, che sono già ampiamente dotati di un loro reddito, costituendo la longa manus dell’Inquisitore. I Familiari del Sant’Uffizio sono esenti dalla giurisdizione ordinaria, feudale e regia, e possono essere giudicati solo dai tribunali ecclesiastici. L’abuso di potere da parte di questi ufficiali ecclesiastici scatena una serie di richiami da parte degli organi centrali dell’Inquisizione spagnola e tanti conflitti di attribuzione tra tribunali ordinari ed ecclesiastici. I Familiari, non sempre nominati secondo le regole, riescono attraverso la loro azione a garantire i propri interessi personali, economici e politici.
La maggior parte dei processi, chiamati autodafé, celebrati in Sardegna non riguardano la pratica di dottrine eretiche ma soprattutto situazioni di dubbia interpretazione della teologia o accuse di magia e stregoneria.
Prima del processo, che è celebrato spesso in un luogo pubblico, l’inquisito viene imprigionato e sottoposto a tortura per estorcere la confessione della sua colpa.
Nel 1576, a Sassari, viene celebrato l’autodafé di Miguel Naitena, abitante del Parte Montis, che, fingendosi commissario dell’Inquisizione, arresta una donna che rifiuta le sue proposte di «conversacion carnal». La pena inflitta è di centro colpi di frusta e tre anni al remo senza paga.
L’Inquisizione funge anche da pretesto religioso per risolvere brutalmente delle questioni politiche, come nel caso di Sigismondo Arquer, avvocato fiscale del Regno e umanista, che nel 1571 viene condannato al rogo per eresia nella città di Toledo.
Nel XVIII secolo, con la cessione della Sardegna ai Savoia, i poteri dell’Inquisizione sarda vengono progressivamente ridimensionati e ricondotti ai funzionari delle diocesi.

famiglia debosa

La famiglia Debosa è originaria del villaggio di Genoni. Bachisio Debosa, figlio di Giuseppe, sposato a Genuri con Sisinnia Margherita Maxia, riceve il diploma di cavalierato nel 1740 e il diploma di nobiltà il 23 marzo 1741. 

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Altri rami della famiglia si sviluppano in Marmilla, tra Genoni e Genuri.

I Debosa sono grandi allevatori di cavalli e proprietari di un’importante azienda agricola, tra loro figurano anche scriventi e tonsurati. Un’attenta politica matrimoniale porta al consolidamento e all’accumulo di nuovi possedimenti fondiari. Nel 1717 Don Bachisio sposa, a Lunamatrona, Rosa Mancosu, dalla quale ha sette figli: Sisinnia, Giuseppe Ignazio, Vincenzo, Raimondo, Vincenza, Sisinnio e Agostino. Nella seconda metà del Settecento sono i figli di Don Bachisio a essere protagonisti della vita economica in Marmilla. Don Giuseppe, Don Vincenzo e Don Agostino capitalizzano consistenti beni tra Lunamatrona, Pauli Arbarei, Siddi e Ussaramanna. Don Giuseppe si trasferisce a Lunamatrona e istituisce come suoi eredi i figli Vincenza, Raimonda e Bachisio, attraverso un fedecommesso. Don Bachisio sposa Colomba Cabras di Turri, generando sei figli, tutti morti in tenera età. Nonostante il vincolo del fedecommesso, nel 1811 Don Bachisio vende la sua parte di beni a Don Raimondo Orrù Serpi di Sardara, con l’obbligo di garantirgli vitto e alloggio adeguato. Don Bachisio muore a Sardara nel 1816 in condizioni di povertà, abbandonato dalla moglie, che decide di trasferirsi a Turri per amministrare il suo cospicuo patrimonio. Alla morte di Don Bachisio si apre un contenzioso giudiziario tra la sorella, Donna Raimonda, che ha sposato a Nurri Don Francesco Dedoni Marrocu, e i nobili Don Raimondo Orrù Serpi di Sardara e Don Antonio Vincenzo Sanna di Mogoro. Questi ultimi sono accusati di aver acquisito i beni del fedecommesso spettanti a Don Bachisio. Restano in capo al defunto diversi debiti per i quali i creditori cercano di rivalersi su Donna Raimonda, rimasta la sua unica erede. Alla fine Donna Raimonda torna in possesso solo di una parte dei beni situati nei villaggi di Lunamatrona e Pauli Arbarei. Don Raimondo Orrù e Don Antonio Vincenzo Sanna sono rimborsati delle somme anticipate per conto di Don Bachisio, e Donna Francesca Diana di Lunamatrona entra in possesso della metà delle case site in quel villaggio menzionate nel testamento di Don Giuseppe Debosa.

famiglia dedoni

Famiglia catalana di antichissime origini, forse toscane, giunge in Sardegna con alcuni esponenti che commerciano sale in tutto il Mediterraneo. Due Dedoni, Guido e Giuliano, sono tra i mercanti più ricchi di Cagliari alla del fine XIV secolo.

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Gerardo Dedoni, la figura più nota della dinastia, grande mercante e finanziere, partecipa alla spedizione di Martino il Giovane, che nel 1409 si conclude con la vittoria sulle truppe del Giudicato d’Arborea nella sanguinosa Battaglia di Sanluri.

Martino il Giovane lo investe del feudo sui villaggi di Gesturi, Tuili e Mara (Villamar), proprio in ricompensa dei finanziamenti messi a disposizione per la sua spedizione in Sardegna. Per questi due ultimi feudi è costretto a intraprendere una dura battaglia legale contro Berengario Bertran Carroz, esponente della famiglia feudale più potente dell’Isola. Gerardo ottiene comunque, nel 1420, il riconoscimento dei suoi diritti. L’anno successivo il figlio Giovanni ottiene il mero et mixto imperio su tutti i feudi e, nel 1432, acquista anche il villaggio di Monastir dalla famiglia Caciano.
La condizione economica dei Dedoni conosce però un peggioramento: nel 1454 sono costretti a vendere Monastir ai Bellit e, nel 1460, Mara agli Aragall. Successivamente sono messi all’asta anche i villaggi di Tuili e Gesturi.
Nel XVI secolo Pietro Dedoni (di Gerardo), ha due eredi che danno vita a rami diversi della famiglia: Fernando, che continua la linea feudale che si estingue nel 1592, e Francesco, che nel 1553 è ammesso nello stamento militare. Da questo Francesco, derivano diversi rami, dapprima residenti a Gesturi, poi anche a Gergei, Villamar, Cagliari, Gesico, Mandas, Nurri, Escalaplano, Guasila, Guamaggiore, Soleminis, Suelli, Selegas e Seuni. Dal ramo di Nurri, discende la famiglia che nel corso dell’Ottocento si trasferisce con un altro Francesco, sposato con Ferdinanda Pinna, a Masullas. Da Francesco nasce Raimondo, padre di Ferdinando che si stabilisce definitivamente nel paese.
Attualmente sussistono, oltre al ramo di Masullas, anche quelli di Selegas-Suelli, Gergei-Isili, nonché il ramo trasferitosi da Gesturi a Mandas e attualmente residente a Imperia.

STEMMA: Troncato, in alto partito, al 1° d’oro ai quattro pali d’Aragona di rosso; al 2° di rosso (o d’argento) al leone rampante al naturale tenente con la branca destra una spada nuda in palo e con la sinistra uno scudo; nella parte inferiore vaiato d’argento e d’azzurro.

ARMA: D’argento al leone d’oro al naturale tenente con la branca destra una spada nuda in palo e con la sinistra un cuore, col mare fluttuoso d’azzurro in punta.

famiglia diana

Originari di Simala, i Diana ottengono, con Monserrato Diana, il cavalierato il 10 ottobre 1679 e la nobiltà il 30 luglio 1680. Nel 1687 tre figli di Monserrato (Giovanni, Francesco e Pietro) partecipano al Parlamento nello stamento militare.

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I tre rami della famiglia poi si stabiliscono in diversi villaggi della Marmilla, del Parte Montis e del Monreale. Li ritroviamo a Masullas, Simala, Collinas, Sardara e San Gavino, Setzu, Sini, Ales, Zeppara, Morgongiori, oltre che in alcuni villaggi della Trexenta (Gesico, Segariu, Senorbì) e del Campidano (Assemini, Decimomannu, Sanluri e Samassi).
Il ramo di Simala si lega per via matrimoniale ai Cony e ai Sepulveda di Masullas.
Una figlia di Don Pietro Diana, Donna Sisina, sposa in seconde nozze Don Nicola Cony di Masullas, dandogli otto figli ed aprendo un conflitto ereditario con Don Giovanni e Donna Gioacchina, figli di primo letto di don Nicola.
Nella prima metà dell’Ottocento, il ramo sardarese e quello sangavinese emergono tra le famiglie più importanti della Baronia di Monreale, grazie anche ad un’attenta politica matrimoniale. Sono sindaci di Sardara e San Gavino, possiedono grandi patrimoni fondiari e diverse abitazioni nei due paesi. I discendenti dei Diana del Monreale e della Marmilla sono ancora oggi fiorenti.

ARMA: troncato al primo d’azzurro al monte al naturale sormontato da una cometa d’argento ondeggiante, attorniata da sette stelle dello stesso: al secondo verde alla cascina accostata da due torri pure al naturale; ed il tutto fondato sulla campagna d’argento.

famiglia flores d'arcais

La famiglia, originaria della Marmilla, si trasferisce in seguito nella città di Oristano. Le prime notizie risalgono al XVII secolo, quando un Francesco Antonio, nato a Masullas nel 1650, acquista una discreta posizione economica. 

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Il titolo di cavalierato ereditario e nobiltà viene concesso nel 1737 al figlio Francesco, che qualche anno prima (1731) ha ottenuto la Segreteria e Scrivania del tribunale della Vegheria di Cagliari. 

Francesco sposa Menencia Nurra, sorella di Damiano Nurra, primo marchese d’Arcais. Il titolo d’Arcais deriva dal nome di tre peschiere di proprietà di Damiano Nurra, che gli sono infeudate unitamente alle rendite civili dei villaggi del Campidano di Oristano, con diploma del 23 agosto 1767.
Dal matrimonio nasce Carlo Alessandro, erede sia del patrimonio dei Flores che dei beni della madre. Francesco e lo stesso Carlo Alessandro, sposato con Donna Rosa Diana di Oristano, muoiono prima del longevo Damiano Nurra. I diritti sul marchesato sono quindi ereditati da Francesco Flores-Nurra Diana, che li conserva fino all’abolizione del feudalesimo. Il figlio maggiore di Francesco, Damiano Flores Cervellon, emigra in Sudamerica dove ha soltanto due figli naturali.
Don Francesco Floris-Nurra Diana sposa Rita Cervellon, ultima erede della casata, e dopo aver inutilmente lottato per l’acquisizione del feudo di Samatzai, nel 1838 ottiene anche il titolo di marchese di Cervellon.
L’anno precedente (1837) diventa sindaco di prima classe di Cagliari e, assieme al figlio Efisio, riesce, nel momento del riscatto dei feudi, a trattare vantaggiosamente la cessione del Marchesato, ottenendo una discreta rendita che gli  permette l’apertura di una fiorente azienda agricola nell’oristanese.
Nel 1847 è componente della delegazione che si reca a Torino con lo scopo di raggiungere la «fusione perfetta» con gli stati sabaudi di terraferma.
Francesco Flores-Nurra muore nel dicembre 1848, ma la famiglia non perde i contatti con Masullas e il Parte Montis. Due sorelle del Marchese d’Arcais, Emerenziana e Maria Vincenza, si sposano con i figli di don Vincenzo Paderi di Mogoro, rispettivamente Salvatore Angelo e Domenico Vincenzo.
I figli del Marchese, Efisio, Damiano  Francesco, danno vita ai tre rami della famiglia.

STEMMA: Troncato: nel 1° di rosso allo scaglione d’oro accompagnato da tre conchiglie dello stesso; nel 2° d’argento all’eliotropio (o girasole), nudrito sulla pianura erbosa, il tutto al naturale e volto verso un sole d’oro a sinistra.

famiglia massidda

La famiglia Massidda è originaria di Santulussurgiu e le notizie più antiche risalgono al XVII secolo.
Ricoprono diverse cariche pubbliche e militari: Angelo, nel 1655, è comandante della fanteria miliziana.

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Suo figlio Cosimo ottiene il cavalierato e la nobiltà nel 1714, ma la sua discendenza si estingue.
L’altro figlio, Pietro Paolo, continua la discendenza lussurgese: il nipote Martino, di suo figlio Francesco, ottiene, nel 1777, il conferimento dei privilegi nobiliari.
Da Martino discendono due rami della famiglia. Il ramo di Francesco Antonio resta a Santulussurgiu dove suo figlio Antonio Martino, amico di Angioy, è animatore dei moti del 1802.
Il ramo di Giuseppe, che si stabilisce a Genuri, genera Quirico, anche lui coinvolto nei moti angioiani, e Diego, da cui discendono gli attuali Massidda.
Diego ha diversi figli, tra cui un secondo Diego, che torna a Santulussurgiu dove la sua discendenza si estingue, e Proto, che si sposa con una Salis, stabilendosi a Masullas. I Massidda sono presenti nel Parte Montis anche a Morgongiori e Simala.

ARMA: Inquartato: nel 1° d’azzurro alla torre aperto e torricellata d’argento murata di nero e sostenente tre cannoni d’oro fustati di rosso, posti due ai fianchi e uno in mezzo; nel 2° d’argento alla spada di rosso guarnita d’oro, alta posta in sbarra, colla bordatura di rosso; nel 3° d’oro al pugno destro di carnagione con l’indice disteso, esso pugno reciso di rosso e posto in sbarra; nel 4° d’azzurro alla penna d’argento in palo.

famiglia matzeu

I Matzeu sono una famiglia le cui notizie risalgono al XVII secolo. La genealogia dei Matzeu, originari di Forru (attuale Collinas), ha il suo primo antenato in Pedro Matzeu Cara; il ramo prosegue col figlio Salvatore, sposato, nel 1689, con…

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la forrese Sisinnia Tuveri. Da questa unione nasce, nel 1705, Pedro Antonio Matzeu, futuro notaio, che si trasferisce nel vicino centro di Gonnostramatza, dove si sposa nel 1732 con Maria Grazia Caboni, figlia dello scrivente Raimondo e di Maria Grazia Zuddas (famiglia di ascendenze notarili). Il figlio minore, Luigi, notaio, che dal fin dal 1773 ricopre l’incarico di suddelegato patrimoniale di Gonnostramatza senza corrispettivo, ottiene i privilegi di Cavalierato e Nobiltà il 10 settembre 1803 dal re Vittorio Emanuele I, con Regio Biglietto spedito da Roma.
Nel 1810 Don Luigi Matzeu, con Regio Diploma del 5 luglio, ottiene la conferma in forma solenne dei titoli e la concessione dello stemma, che nel precedente privilegio mancava.
I suoi figli, Don Amatore e  Don Raimondo, vengono compresi nel censimento nobiliare feliciano del 1822.
Da Don Raimondo discende un ramo che, con il figlio Luigi, si trasferisce a Collinas, il quale nel 1818 si sposa con Raimonda Lai ed genera Daniele. Da quest’ultimo nasce Don Antonio Maria Matzeu che diventa magistrato e ottiene il riconoscimento nobiliare dalla Consulta Araldica con D.M. del 30 marzo 1927. Dei suoi figli ricordiamo Don Fausto, sacerdote e canonico, e Don Giusto, professore. Quest’ultimo, trasferitosi a Milano e dedicatosi all’insegnamento scolastico, è stato  un letterato e uno studioso di profonda cultura, poeta, critico d’arte, saggista. Antifascista, prende parte alla guerra di liberazione assieme ai suoi figli. Si dedica successivamente a un saggio su Giovanni Battista Tuveri, utilizzando materiale inedito posseduto dalla sua famiglia. Dei suoi figli ricordiamo Massimino, avvocato, ufficiale d’artiglieria, capitano partigiano della Divisione San Primo; Giuseppe, anch’esso avvocato, ufficiale di fanteria e capitano partigiano della Divisione San Primo; e Mario, che cade come patriota contro i nazisti.
Degli altri figli di Don Raimondo ricordiamo Don Francesco, che fattosi sacerdote si laurea in teologia e diventa canonico del duomo di Oristano, dove muore nel 1877, e Don Ilario, che resta invece a Gonnostramatza, dove muore nel 1902 senza aver generato figli.

STEMMA: D’azzurro al mare fluttuoso dal quale esce uno scoglio sormontato da un covone di spighe di grano al naturale legato di rosso, accompagnato da una sciabola manicata d’oro con la punta all’in su verso il lato sinistro dello scudo e da un’aurora di rosso movente dal cantone destro dello scudo.

famiglia orrÙ

La famiglia Orrù è originaria del Monreale, tra Sardara e San Gavino. Il capostipite è Antonio, nato a San Gavino poi trasferitosi a Sardara, che riceve il cavalierato ereditario nel 1799 da Carlo Emanuele IV.

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Il figlio Raimondo Orrù Serpi è capitano della fanteria miliziana e concorre alla difesa di Cagliari dall’attacco dei francesi nel 1793. Nel 1825 lo stesso Raimondo Orrù Serpi riceve dal sovrano Carlo Felice il titolo di conte con il predicato di San Raimondo, per l’opera di sostegno alla costruzione della strada di collegamento tra Cagliari e Sassari. Don Raimondo Orrù Serpi sviluppa un’importante azienda agraria ed edifica il suo palazzo a Sardara, nei pressi della chiesa di Sant’Antonio. Nel 1833, alla sua morte, il figlio Don Raimondo Orrù Lilliu lo sostituisce nella gestione dell’azienda agraria. L’ampliamento è realizzato incamerando anche una parte di eredità del fratello Antonio, trasferitosi a Senorbì. Don Raimondo Orrù Lilliu sposa in prime nozze Donna Vincenza Cotza e in seconde nozze Donna Anna Giuseppa Ruda originaria di Suelli, rafforzando la proprietà fondiaria della famiglia. Ha dieci figli, di cui alcuni morti in tenera età. L’azienda viene divisa tra i figli Francesco (sposato con Donna Luigia Orrù), Doloretta (che sposa Don Giuseppe Diana Sanna), Raimondo (sposato in prime nozze con Donna Virginia Siotto Pintor e in seconde nozze con Donna Elisa Cao di San Marco) e Stefana (sposata con Antonio Diana Casu, più volte sindaco del paese). Attraverso oculate strategie matrimoniali stringono rapporti importanti con le altre famiglie nobili del territorio. Don Raimondo Orrù Lilliu è eletto deputato nella VI legislatura del Regno di Sardegna, dal 1857 al 1860. Dal ramo di Raimondo discende Don Tancredi Orrù Siotto, avvocato e podestà di Sardara, il cui palazzo si trovava nella zona dell’attuale Municipio.

ARMA: di rosso alla quercia nudrita sulla pianura erbosa col tronco attorcigliato da un serpente il tutto al naturale. Il tutto sormontato dalla corona comitale.

famiglia paderi

La famiglia Paderi è nobilitata nel 1749 con la concessione dei titoli ad Antioco Paderi Simbula, originario di Villanovafranca.
Don Vincenzo Paderi, nipote di Antioco, si stabilisce a Mogoro nel 1761, in un palazzo nei pressi…

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…della chiesa parrocchiale. Successivamente costruisce a Masullas un suo dominariu nel rione de Sa gruxi piccada, a ridosso del convento dei cappuccini, nella via che da San Leonardo porta allo stesso convento. Tra il 1768 e il 1784, Don Vincenzo è il personaggio più attivo nell’acquisto di terre in tutta l’area del Parte Montis. Le proprietà Paderi ammontano a decine di migliaia di scudi e sono situate nei territori di Mogoro, Masullas, Siris, Gonnostramatza, Segariu, Villamar, Furtei, Sardara, Las Plassas e Uras.
Don Vincenzo Paderi sposa Giuseppa Floris, che le porta in dote i beni immobili di Mogoro e Masullas. Due figli dello stesso don Vincenzo, Salvatore Angelo e Domenico Vincenzo, sposano due sorelle del Marchese d’Arcais, Merencia e Maria Vincenza, rafforzando il rapporto con la nobiltà del territorio.
Un figlio di Don Domenico Vincenzo, Efisio, è sindaco di Masullas nel corso dell’Ottocento. Di tutti i numerosi rami che nel corso dei secoli si sono diffusi in diversi paesi, attualmente risulta ancora vivo il ramo di Mogoro.

STEMMA: D’oro a due braccia vestite d’azzurro impugnanti ciascuna una spada, le spade poste in croce di S. Andrea; con tre teste umane al naturale male ordinate, quella in capo in maestà, le altre di profilo affrontate.

famiglia salis

I Salis compaiono ad Ales sul volgere del XVII secolo con Giovanni Battista, cittadino oristanese, marito ed erede universale della sua prima moglie Giovanna Ibba, figlia di Pietro, ricco proprietario alerese.

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La famiglia ottiene i privilegi nobiliari con Ignazio, abitante in Ales, che viene armato Cavaliere da Angelo Deroma, in virtù di lettere commissionali del 27 aprile 1729 firmate dal sovrano Vittorio Amedeo II, confermate e seguite dai solenni Regi Diplomi di Cavalierato e Nobiltà, dati in Torino il 5 agosto dello stesso anno.
La discendenza di Don Ignazio si diffonde in diversi centri della Marmilla e del Parte Montis, radicandosi soprattutto ad Ales e Simala. All’inizio dell’Ottocento, un altro Don Ignazio si trasferisce a Villamar, dove resta però solo una figlia. Il ramo di Ales si è estinto agli inizi del Novecento: a questa linea appartiene Donna Elena Salis, nobile figura di gentildonna, sposata col cav. Stefano Spada di Curcuris, morta nel 1876. Col suo testamento dispone un lascito al Comune per la fondazione di un asilo infantile per i bambini aleresi. La famiglia prosegue tuttora col solo ramo superstite, che da Simala si trasferisce a Masullas con Giuseppe, in seguito al matrimonio con Donna Maria Diana. Verso la metà del XIX secolo acquista una casa nel centro di Masullas, costruita da Giovanni Tommaso Messina, attuale sede del palazzo municipale, e impianta un’importante azienda agricola. I suoi discendenti sono gli attuali rappresentanti della famiglia e risiedono a Masullas e a Cortoghiana. Ricordiamo fra essi Don Alfonso Salis, di Nicolò, caduto per la Patria durante la Seconda Guerra mondiale nel dicembre del 1942, al quale il suo paese natale ha dedicato una strada.

 

ARMA: d’azzurro al monte sulla pianura erbosa, il tutto al naturale con un sole d’oro nel punto del capo.

famiglia sanna

La famiglia Sanna di Mogoro ha origini risalenti al XVI secolo, quando sono legati ad alcune cariche amministrative del Marchesato di Quirra. Tradizionalmente sono notai e ricoprono diversi uffici pubblici. Si sistemano a Mogoro e nel…

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Parte Montis all’inizio del XVI secolo. Tra i personaggi di rilievo sono ricordati Baldirio, che nel 1577 viene nominato major della villa spopolata di Bonorcili, e Antioco, nominato nel 1592 major della villa di Mogoro. Il figlio di Antioco, Giovanni Antonio, è procuratore della chiesa di Mogoro, e suo figlio Bernardino diventa un affermato notaio che mette insieme un notevole patrimonio. I figli di Bernardino, Francesco Antonio e Giovanni Battista, percorrono la carriera amministrativa negli uffici del Marchesato di Quirra. Il primo ricopre, tra il 1684 e il 1705, la carica di Ufficiale di Parte Montis; il secondo, residente a Cagliari, è segretario della curia major del Marchesato di Quirra. La sua discendenza si estingue nel 1790, con il nipote omonimo, celebre predicatore gesuita, e Nicolò, sacerdote, entrambi figli di Antonio Ignazio, anch’esso Segretario Generale della Curia.
Tra i figli di Francesco Antonio emerge Giovanni Battista, notaio e Segretario Generale del Marchesato di Quirra nel 1717. Suo figlio Bernardino diventa sindaco di Mogoronel 1736, ed ha tre figli: Cecilia, Giovanni Battista, sacerdote, e Antonio Vincenzo, che inizia la dinastia dei Sanna Borro, sposando, nel 1791 a Senorbì, donna Maria Piras Paderi. Nel 1796 come capitano della cavalleria miliziana, interviene in aiuto del governo a Oristano, durante i moti angioiani. Nel 1806 a Terralba, in servizio di pattugliamento delle coste, evita lo sbarco di una poderosa flotta turca. Nel 1814 ottiene il cavalierato ereditario e la nobiltà, assieme al privilegio di utilizzare le armi gentilizie.
La discendenza è portata avanti dai suoi due figli: Giovanni Battista, che inizia il ramo residente a Mogoro estintosi nel 1916 con la morte del figlio Antonio, e Efisio, che si trasferisce a Cagliari. Le figlie nubili Giuseppa e Luigia ereditano i possedimenti di Masullas, Siris, Pompu, Morgongiori e Gonnostramatza: successivamente si sposano rispettivamente con don Nicolò Salis e con l’avvocato Priamo Murgia Garau originario di Villamar. Le altre figlie Maria Annica, Cinzia Raimonda e Cecilia si sposano con don Antonio Diana Orrù di San Gavino, don Paolo Diana Diana di Forru e don Giovannico Sulis di Muravera.
Don Efisio Sanna Borro imita la carriera paterna sotto le armi, diventando capitano del battaglione miliziano di Ales. La sua residenza principale è ancora a Mogoro nel complesso di case ereditate dal padre nel rione Su Scarajoni, ma dimora spesso anche a Cagliari, nel Palazzo Borro, situato tra le attuali via Lamarmora e via dei Genovesi, e a Genoni, paese natale di sua moglie Donna Marianna Porqueddu Lay.
I figli di Efisio aprono tre rami della famiglia: Efisio che si sposa con una cugina donna Efisia Sulis Sanna e si trasferisce a Muravera, Vincenzo che continua la discendenza dei Sanna Borro sposando la figlia del Sovrintendente alla Sanità della Sardegna, Antonietta Mancosu Zedda, e Raffaele (ufficiale dei Carabinieri) che sposa Grazia Randaccio, dando inizio alla dinastia dei Sanna Randaccio.
Dal ramo Sanna Borro emergono le figure di Efisio, magistrato, Giuseppe, docente di chimica all’università e promotore dell’industria del gas in Sardegna, Raffaele, ingegnere, e Carlo, sindaco di Mogoro e amministratore dell’azienda agricola di famiglia.
Nel ramo Sanna Randaccio ritroviamo Giuseppe, uomo politico liberale molto vicino alla figura di Francesco Cocco Ortu e padre di Raffaele (senatore e consigliere regionale promotore ed estensore dello Statuto Autonomistico), Francesco, avvocato e padre di Antonio (ammiraglio della Marina Militare Italiana), Vincenzo, medico a Iglesias, e Efisio che si stabilisce a Genoni.

ARMA: una campagna colorata di verde caricata nel mezzo di un albero di ghianda al naturale fruttifero fasciato da muro rustico spaccato nell’angolo destro e continuato nel sinistro da un cancello di legno, e al piede dell’albero un cinghiale ritto di profilo e vivo al naturale.

famiglia senis

Famiglia originaria di Mandas che orriente il cavalierato nel 1743 con Giovanni Maria, notaio di Siurgus, dove nasce nel 1702, da padre artigiano originario a sua volta di Guamaggiore. Nel 1731 si trasferisce a Mandas per sposare Lucia Putzu.

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Il 27 giugno del 1743 è creato Cavaliere di spada e nello stesso anno acquista la Scrivania della Tappa di Insinuazione di Nurri. Nel 1749 ottiene il permesso di trasferire l’ufficio di Insinuazione da Nurri a Mandas. Muore a Mandas nel 1753. Il suo unico figlio maschio, il dott. Don Ferdinando, è il secondo signore utile della Tappa e sposa,nel 1775 a Gergei, la nobile Donna Mariangela MuntoniDedoni, da cui ha diversi figli, ma solo due femmine, le ultime nate, raggiungono l’età adulta.
Sposano entrambe due fratelli Paderi di Villanovafranca, che si trasferiscono a Mandas: Donna Maria sposa a Don Emanuele Paderi-Tolu, ma muore nel 1813, poche settimane dopo aver partorito il suo unico figlio; la sorella minore Donna Gregoria sposa invece Don Francesco Ignazio Paderi, la cui discendenza prosegue a Mandas e a Barumini per estinguersi nel corso del Novecento. Nel 1830 Don Francesco Paderiaccusa dei problemi psichici e viene condotto agli arresti a Cagliari; in seguito viene interdetto.
Alla morte del padre, nel 1814, Donna Gregoria Senis diventa Signora utile dell’ufficio di Insinuazione fino al riscatto, attuato col R. Editto 29 gennaio 1839 e successiva transazione approvata con Regio Brevetto dato in Torino il 4 aprile 1840 con la Regia delegazione per il riscatto dei feudi, con cui tutti gli uffici di Insinuazione sono incamerati dal demanio. Muore nel 1860, ultima della famiglia. I Senis hanno una parentesi anche a Masullas con Donna Narcisa, figlia del capostipite Giovanni Maria, la quale sposa Don Giuseppe Sepùlveda, erede del fedecommesso Coni, da cui resta vedova nel 1790.

STEMMA: d’azzurro alla torre d’oro fondata sulla pianura erbosa al naturale; sostenente una bandierina di rosso alla croce d’argento con una penna d’argento ed una lancia d’oro decussate attraversanti sulla bandierina.

famiglia sepulveda

Antica famiglia originaria della Castiglia, tuttora fiorente in Spagna, diramatasi anche in Aragona e Murcia, un cui ramo, nel 1698, si trasferisce da Saragozza a Cagliari, con Don Giuseppe Gonzales de Sepùlveda. 

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Il cognome Gonzales viene presto abbandonato a favore del solo Sepùlveda.
Nello stesso anno, poco prima di trasferirsi in Sardegna, sposa Donna Marianna Piquinotti, di nobile famiglia madrilena. Successivamente sposa in seconde nozze la nobile cagliaritana Donna Maria Giuseppa Martis. L’ultimo figlio, Don Leone, trasferitosi a Villacidro, si sposa nel 1736 con Donna Pepa Coni di Masullas, figlia di Don Nicolò Coni, fondatore del fedecommesso familiare. Ormai entrati nella nobiltà sarda, i figli di Don Leone si imparentano con altri esponenti dell’aristocrazia locale. Il figlio maschio Don Giuseppe sposa Donna Narcisa Senis, figlia del Signore utile della Tappa di Insinuazione di Mandas e, dopo l’estinzione del ramo primogenito dei Coni, succede nel fedecommesso familiare, aggiungendone anche il cognome. Eredita dai Coni anche la signoria utile della Tappa di Insinuazione di Masullas. Ha diversi figli, quasi tutti nati a Mandas, ma solo uno continua la discendenza: Don Leone. Questo secondo Don Leone, ultimo dei figli di Don Giuseppe Sepùlveda Coni, per non discostarsi troppo dalle parentele familiari, prende in moglie una Diana di Simala, Donna Vincenza, figlia di Don Monserrato e di Donna Luisa Paderi. Don Leone eredita i beni di Masullas, appartenenti al fedecommesso Coni, e parte dei beni di Mandas e Villanovafranca appartenuti ai Senis. Muore a Masullas nel 1837, lasciando un solo figlio, Don Giuseppe, e due donne, Felicita e Rosa. Le due restano a Masullas, sposando rispettivamente Don Giuseppe Paderi-Flores d’Arcais e Demetrio Pinna, mentre il fratello Don Giuseppe si trasferisce a Cagliari dove termina gli studi e si laurea in leggi nel 1830.
Don Giuseppe ha quattro figli: Camilla, Alberto, Francesco e Ferdinanda. Nessuno dei suoi eredi maschi si sposa ed entrambi muoiono in giovane età. Don Giuseppe muore nel 1875, ultimo maschio della famiglia, che si estingue definitivamente nel 1912 con la morte dell’altra figlia Donna Giuseppina, sposa senza figli di Don Stefano Sedda.

STEMMA: uno scudo semipartito troncato, con una croce gigliata d’oro in campo verde al 1°; al 2° un castello d’oro in campo rosso, dalla cui sommità esce un braccio armato di spada; al 3° d’azzurro a cinque gigli e un leone rampante, il tutto d’oro. Bordura di rosso con otto code d’ermellino d’argento alternate a otto crocette d’oro.

famiglia serpi

La famiglia Serpi si stabilisce a Sardara, dove il primo esponente, Antioco, si trasferisce da Guspini. Alla fine del XVIII secolo riesce ad accumulare un discreto patrimonio fondiario.
I suoi figli, imparentandosi con le principali famiglie…

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…del luogo, contribuiscono al consolidamento del patrimonio: un secondo Antioco prende in moglie Donna Maria Diana Prinzis, mentre l’altra figlia Angela si sposa con il cugino Don Luigi Orrù Serpi. Antioco Serpi Lilliu è  notaio, ufficiale dei miliziani e sottotenente nel regio esercito, suddelegato patrimoniale per Sardara e, per diversi anni, anche sindaco. Nel 1824 ottiene i privilegi nobiliari per aver contribuito, col cugino Don Raimondo Orrù Serpi, di cui era anche suocero, alla costruzione della strada reale “Carlo Felice”.

Il personaggio più rilevante della famiglia è sicuramente Don Giovanni Serpi Diana, figlio di Antioco, ufficiale dei Regi Carabinieri che interviene in Sicilia subito dopo la Spedizione dei Mille di Garibaldi, ed è il protagonista del passaggio dall’amministrazione garibaldina a quella sabauda. Viene poi promosso generale e prende parte alla Terza guerra di Indipendenza. È eletto parlamentare e dopo il 1870 si trasferisce a Genova con il figlio Enrico. Il primogenito di Antioco, Francesco, si trasferisce a Samatzai dopo il matrimonio con Giovanna Tocco Desogus, costituendo una discreta azienda agricola. Gli eredi dei diversi rami della famiglia sono oggi distribuiti tra la Liguria e il Campidano.

ARMA: di verde al serpe d’argento ondeggiante in alto.

famiglia usai

La famiglia Usai proviene da Pauli Arbarei, dove ha un ruolo politico ed economico rilevante. Il diploma di nobiltà senza stemma è concesso a Pietro, nel 1630, dal sovrano Filippo IV. Don Pietro Usai partecipa al Parlamento del 1643 con…

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…i suoi quattro figli, Francesco, Gregorio, Lorenzo e Vincenzo, nati dal matrimonio con Maria Casu. Un altro ramo della famiglia è quello di Giovanni Andrea, fratello di Pietro, che si sposa con Giovanna Angela Ibba dalla quale ha quattro figli: Marco Antonio, Giovannangela, Maria Rosa e Pietro Paolo. Quest’ultimo si sposa con Caterina Pira di Quartu nel 1635, e in seconde nozze con Maria Incani. Giovannangela sposa nel 1646 Massian Debosa di Genoni.
Il primogenito di Don Pietro, Francesco, sposa la nobildonna di Selegas Marianna Gessa, e muore nel 1646: il suo unico figlio Antonio si trasferisce quindi in Trexenta per amministrare il patrimonio materno. Don Antonio battezza suo figlio con lo stesso nome del nonno, Francesco, il quale in età adulta si stabilisce a Cagliari sposandosi tre volte: con una Cabizudo, una Sanjust e una Aymerich. Don Francesco partecipa anche al Parlamento. Suo figlio, Pietro Francesco si trasferisce ad Iglesias, dove diventa capitano di giustizia. I suoi discendenti ricoprono altre cariche pubbliche, fino all’estinzione del ramo, che si ritiene avvenuta alla fine dell’Ottocento.
Il ramo di Don Vincenzo risiede a Pauli Arbarei. Don Vincenzo, in seguito al matrimonio con Marianna Vacca, mette al mondo dieci figli. È convocato a tutti i Parlamenti. I figli, Don Pietro e Don Antonio, non possono parteciparvi perché minorenni, seppure ricoprano rispettivamente la carica di maiore de villa e familiar del Sant’Ufficio.
Quasi tutti gli Usai seguono la tradizione di famiglia nella sepoltura presso la Cappella del Rosario dentro la parrocchiale di Pauli Arbarei. Solo Don Demetrio, sposato con Donna Maria Incani, è sepolto nella chiesa parrocchiale di Masullas. Gli Usai di Pauli Arbarei si estinguono nella metà del Settecento; un ramo trasferitosi a Iglesias prosegue per tutto l’Ottocento, imparentandosi con le più distinte famiglie locali.

POLO MUSEALE MASULLAS

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...allodiale, con la prerogativa di successione anche per linea femminile e l’esercizio in sede giurisdizionale del mero et mixto imperio, che concede il potere di amministrare la giustizia sia nel civile che nel criminale.In ogni curatoria o baronia appartenente al Marchesato vengono istituite le curie baronali e sono nominati i diversi giudici. Le cause sono spesso di natura fiscale, altre riguardano fatti criminali. L’amministrazione della giustizia feudale risulta però confusa e arbitraria: curie senza archivi ordinati, personale dotato di scarsa preparazione, corruzione e connivenza con i bandos organizzati, carceri ridotte al solo ceppo e in locali molto ristretti. 
Masullas, oltre alle milizie, ospita in questi locali la curia baronale con le relative carceri.
Nel 1564, per fermare lo strapotere dei baroni nell’amministrazione della giustizia, il sovrano spagnolo Filippo II istituisce il tribunale della Reale Udienza, che giudica in appello sulle cause tra vassalli, villaggi e feudatari.
A farne parte sono letrados esperti in materie giuridiche. L’incarico più importante all’interno della magistratura è il Reggente della Reale Cancelleria, coadiuvato da altri giudici, come l’Avvocato Fiscale.
In seguito alla richiesta degli Stamenti nel Parlamento, nel 1651 viene istituita la Sala Criminale della Reale Udienza, con competenza sulle cause di natura penale.
Il ruolo che la Reale Udienza assume nel corso del periodo spagnolo non è meramente giuridico, poiché essa col tempo diventa un organo consiliare che supporta i viceré nel governo del Regno.

Info

Ex Convento dei Cappuccini
Via Cappuccini, 57
09090 MASULLAS (OR) 
Sardegna 
Italia

coopilchiostro@tiscali.it

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